Breve storia dell'infinito by Paolo Zellini
autore:Paolo Zellini [Zellini, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-01-02T16:00:00+00:00
1. Finzioni, Torino, 1971, p. 39.
2. La dotta ignoranza, III, I; trad. it. cit., p. 161. Il corsivo è mio.
3. Ibidem, p. 163.
4. De quadratura circuli, in Opera, Basel, 1565, p. 1097.
5. Cfr. anche Lezioni e conversazioni, Milano, 1976, pp. 35-36.
6. Cahiers, I, Paris, 1970, p. 35.
7. Determinisme et libre arbitre, Neuchâtel, 1947, p. 186.
8. Cfr. From a Logical Point of View, Cambridge, Mass., 1961, cap. 8; trad. it. Il problema del significato, Roma, 1966, pp. 129-148.
VIII
CARTESIO
In risposta ad alcune delle obiezioni mossegli dal teologo Caterus alle idee esposte nelle sue Meditazioni Cartesio precisava, tra le altre cose, ciò che egli intendeva usando la parola «infinito».
La distinzione che egli fa a questo proposito tra infinito e indefinito riflette la tradizionale opposizione tra infinità attuale e infinità potenziale; tuttavia i termini del problema appaiono leggermente spostati. L’«indefinito» rammenta pur sempre la fatale imperfezione dell’oggetto terrestre che appare in sé privo di limite; ma indefinita è ora tipicamente quella cosa che, pur essendo senza limiti sotto qualche aspetto, non è tuttavia sciolta da ogni limitazione, poiché, se non altro, non può sottrarsi ai confini segnati dalla sua stessa esistenza particolare, dal suo essere ciò che è e non un’altra cosa.
«Pongo qui la distinzione» egli scrive «tra l’indefinito e l’infinito. E non c’è nulla che io chiamo propriamente infinito se non ciò in cui da ogni parte non riscontro alcun limite, nel qual senso solo Dio è infinito. Ma le cose di cui non vedo una fine solo sotto qualche rispetto, come l’estensione degli spazi immaginari, l’insieme dei numeri, la divisibilità delle parti della quantità e altre simili, io le chiamo indefinite e non infinite, perché esse non sono da ogni parte senza fine né limite».1
Da altre più esplicite affermazioni è facile capire che questa semplice distinzione tra infinito e indefinito non è priva di un discreto contenuto di novità.
Il fatto è che nella prospettiva cartesiana l’imperfezione significata dall’uso del termine «indefinito» consiste assai più nella presenza residua del limite che nella apertura incessante al suo superamento. Proprio questa apertura incessante era stata da Boezio rigettata come mostro di malizia e da Aristotele accostata al non-essere e alla privazione. Nella terza delle Meditazioni Cartesio vi scorge invece il segno inequivocabile dell’impronta divina. «Certamente» egli scrive «non si deve ritenere cosa strana che Dio, creandomi, abbia messo in me questa idea per essere come il marchio dell’artefice stampato sulla sua opera; e non è così necessario che questo marchio sia qualcosa di diverso da questa stessa opera. Ma dal solo fatto che Dio mi ha creato, è fortemente credibile che egli mi ha in qualche modo prodotto a sua immagine e somiglianza, e che io concepisco questa rassomiglianza (nella quale l’idea di Dio si trova contenuta) con la stessa facoltà per cui concepisco me stesso; nel senso che, quando rifletto su di me, non solamente riconosco che sono una cosa imperfetta, incompleta, e dipendente da altri, che tende e aspira senza posa a qualcosa di migliore e più grande che io non sono, ma
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